Sulla scena politica italiana si aggira ancora l’ombra di
una figura grottesca ed inquietante. Un personaggio che nonostante le condanne
e i vergognosi scandali è sempre sulle prime pagine ad allietare con battute triviali
e barzellette oscene i suoi adepti, o meglio quelli che restano e che fingono
di dimostrare entusiasmo per questo vecchio signore con il viso imbalsamato a
colpi di fard e i capelli di plastica incollati sulla testa come quelli degli omini
del Lego.
Sembra di essere ritornati al 1994, con la differenza che Ayrton
Senna e Kurt Cobain sono morti davvero da 20 anni, mentre lui è sempre lì, a raccontare
le stesse balle di un tempo e a fare le stesse promesse a reti unificate. Rispetto
al passato però c’è una differenza perché, con l’età che avanza, ha pensato
bene di designare i suoi successori: uno è l’erede di Emilio Fede, un uomo che
ha fatto carriera irrorando di saliva qualsiasi notizia riguardasse il porno-statista
di Arcore, in qualità di servile dipendente di fantozziana memoria; l’altro è un
giovane nato vecchio, cresciuto a pane e De Mita, che ebbe la strada spianata
come sindaco di Firenze grazie all’autorevole candidatura espressa dal centro-destra
dell’epoca, cioè un ex portiere del Milan in pensione, Giovanni Galli. Vittoria facile,
decisa a tavolino da Denis Verdini, uno dei più fidati collaboratori del
frodatore fiscale brianzolo.
Dopo il pellegrinaggio del bulletto toscano a
villa San Martino a fine 2010, folgorato sulla via di Arcore, fece la campagna
elettorale per le primarie sotto la guida di un top manager Mediaset, Giorgio
Gori, che oggi troviamo, casualmente, candidato sindaco a Bergamo con il pd(ex)menoelle.
Noto per essere il deus ex machina del Grande Fratello, Gori ha letteralmente
inventato il concorrente di reality Matteo scrivendogli il programma, copiato
per lo più da quello dell’emergente Movimento 5 stelle: abolizione del
finanziamento pubblico ai partiti, vincolo dei due mandati, ripristino delle
preferenze fino al giro dell’Italia in camper.
Ora questi due personaggi,
allevati come polli da batteria nelle aziende del Cavaliere, fingeranno di
combattersi da avversari alle prossime politiche, una lotta finta come quella
nei ring del wrestling che culminerà in ogni caso col successo del capo, il
ventriloquo milionario che dà la voce all’ex direttore del Tg4 e che tira i
fili del sindaco-pupazzo di Firenze. Storia di una cavallo di Troia, di un’infiltrazione
riuscita tra le fila dei “comunisti”, storia di un film già visto in questi 20
anni, storia di un remake del genere horror il cui regista, cacciato con
ignominia dal Senato, per l’ennesima volta si ripropone, come un conato di
vomito e senza vergogna, agli italiani