domenica 9 febbraio 2014

IL VENTRILOQUO


Sulla scena politica italiana si aggira ancora l’ombra di una figura grottesca ed inquietante. Un personaggio che nonostante le condanne e i vergognosi scandali è sempre sulle prime pagine ad allietare con battute triviali e barzellette oscene i suoi adepti, o meglio quelli che restano e che fingono di dimostrare entusiasmo per questo vecchio signore con il viso imbalsamato a colpi di fard e i capelli di plastica incollati sulla testa come quelli degli omini del Lego. 
Sembra di essere ritornati al 1994, con la differenza che Ayrton Senna e Kurt Cobain sono morti davvero da 20 anni, mentre lui è sempre lì, a raccontare le stesse balle di un tempo e a fare le stesse promesse a reti unificate. Rispetto al passato però c’è una differenza perché, con l’età che avanza, ha pensato bene di designare i suoi successori: uno è l’erede di Emilio Fede, un uomo che ha fatto carriera irrorando di saliva qualsiasi notizia riguardasse il porno-statista di Arcore, in qualità di servile dipendente di fantozziana memoria; l’altro è un giovane nato vecchio, cresciuto a pane e De Mita, che ebbe la strada spianata come sindaco di Firenze grazie all’autorevole candidatura espressa dal centro-destra dell’epoca, cioè un ex portiere del Milan in pensione, Giovanni Galli. Vittoria facile, decisa a tavolino da Denis Verdini, uno dei più fidati collaboratori del frodatore fiscale brianzolo. 
Dopo il pellegrinaggio del bulletto toscano a villa San Martino a fine 2010, folgorato sulla via di Arcore, fece la campagna elettorale per le primarie sotto la guida di un top manager Mediaset, Giorgio Gori, che oggi troviamo, casualmente, candidato sindaco a Bergamo con il pd(ex)menoelle. Noto per essere il deus ex machina del Grande Fratello, Gori ha letteralmente inventato il concorrente di reality Matteo scrivendogli il programma, copiato per lo più da quello dell’emergente Movimento 5 stelle: abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, vincolo dei due mandati, ripristino delle preferenze fino al giro dell’Italia in camper. 
Ora questi due personaggi, allevati come polli da batteria nelle aziende del Cavaliere, fingeranno di combattersi da avversari alle prossime politiche, una lotta finta come quella nei ring del wrestling che culminerà in ogni caso col successo del capo, il ventriloquo milionario che dà la voce all’ex direttore del Tg4 e che tira i fili del sindaco-pupazzo di Firenze. Storia di una cavallo di Troia, di un’infiltrazione riuscita tra le fila dei “comunisti”, storia di un film già visto in questi 20 anni, storia di un remake del genere horror il cui regista, cacciato con ignominia dal Senato, per l’ennesima volta si ripropone, come un conato di vomito e senza vergogna, agli italiani